Bisogna notare che per servi s'intendevano i contadini i quali erano legati alla terra che lavoravano per conto del padrone e venivano ceduti con essa, sia in caso di vendita che di donazione eredità o dote. A sua volta, col contratto stesso, il futuro sposo si obbligava, all'epoca del matrimonio, di donare alla sposa metà dei suoi beni, e rilasciarle una carta per la terza parte dei rimanenti in caso di sua morte. Non bisogna però credere che quelle doti fossero tanto vistose come sarebbero ai tempi nostri, perché il valore di quei terreni, confrontato con quello di oggi, era irrisorio come reddito in denaro. Quanto potesse valere un terreno coltivato lo si può dedurre dal fatto che per due poderi in territorio di Monselice, appartenenti alle monache di S. Zaccaria in Venezia; l'affitto riscosso era di soldi quindici veneziani, pari a lire 2,70 oro odierne, perché la lira veneta valeva circa come 3,60 oro nostre e si divideva in 20 soldi. E' vero che oltre l'affitto c'erano le decime alla chiesa e le cosiddette onoranze, cioè generi alimentari che l'affittuario doveva consegnare al proprietario per regolare contratto, altrimenti questi non poteva mangiare con sì esiguo affitto. Anche le doti in denaro erano misere in confronto a quelle di oggi. La famosa Speronella Dalesmanini diede a sua figlia Zamponia, che sposò Alberto da Baone, uno dei principali nobili padovani del 1200 la dote di lire venete milleseicento, che sarebbero come quattromilaseicento ottanta oro di adesso. La sposa di Giacomino Papafava da Carrara portò in dote soltanto duemila lire venete.
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